Un giorno, nel corso delle prove per il Circuito delle Tre Province, Ferrari chiede a Nuvolari di sedergli accanto. Nivola acconsente alla richiesta. Dal racconto di quell’improvvisa esperienza come copilota, scritto da Ferrari nel suo libro “Piloti, che gente…”, ecco la spiegazione forse più chiara e vibrante del mistero che ha reso grande e inarrivabile il mito di Nivola.

“Alla prima curva – scrisse Ferrari – ebbi la sensazione precisa che Tazio l’avesse presa sbagliata e che saremmo finiti nel fosso. Mi irrigidii in attesa dell’urto. Invece ci ritrovammo all’imbocco del rettilineo successivo con la macchina in linea. Lo guardai: il suo volto scabro era sereno, normale, non di chi è fortunosamente scampato a un testacoda. Alla seconda e alla terza curva l’impressione si ripeté. Alla quarta o alla quinta cominciai a capire: intanto con l’occhio di traverso, avevo notato che per tutta la parabola Tazio non sollevava il piede dall’acceleratore e che anzi lo teneva a tavoletta. E di curva in curva scoprii il suo segreto. Nuvolari abbordava la curva alquanto prima di quello che l’istinto di pilota avrebbe dettato a me. Ma l’abbordava in modo inconsueto, puntando cioè, d’un colpo, il muso della macchina contro il margine interno, proprio nel punto dove la curva aveva inizio. A piede schiacciato – naturalmente con la giusta marcia ingrantata prima di quella sua spaventevole “puntata” – faceva così partire la macchina in dérapage sulle quattro ruote, sfruttando la spinta della forza centrifuga, tenendola con la forza traente delle ruote motrici. Per l’intero arco, il muso della macchina sbarbava la cordonatura interna, e quando la curva terminava e si apriva il rettifilo, la macchina si trovava già in posizione normale per proseguire drittala corsa, senza necessità di correzioni.”


Fonti:
“Ferrari… un sogno nato nella neve” di Roberto Boccafogli (SEP Editrice – Milano, Italy, 1997).
“Piloti, che gente…” di Enzo Ferrari.