È ancora vivo il ricordo di Gilles Villeneuve. Eppure, sono trascorsi tanti anni da quell’8 maggio 1982 in Belgio, in cui la sua Ferrari decollò sulla March di Mass per ricadere dopo un volo in cui il canadese fu sbalzato fuori dallo stesso abitacolo.

Quel giorno, si aggiunse un altro tassello alla fase negativa che aveva colpito la Ferrari nel Gran Premio di San Marino e che si sarebbe conclusa solo nel Gran Premio di Germania, quando Didier Pironi si maciullò le gambe andando a sbattere contro la Renault di Prost in prova sotto una pioggia torrenziale.

A Imola si era consumata la rottura fra il canadese e il francese: in testa fin dalle prime battute di una gara disertata da diversi ribelli della FOCA, i due portacolori della Ferrari sembravano voler divertire il pubblico con staccate mozzafiato, e così credette lo stesso Villeneuve, che venne invece beffato dal compagno di squadra che andò a vincere un Gran Premio ampiamente dominato dal canadese. Sul podio, l’espressione di Villeneuve la diceva lunga sul rapporto col suo compagno di squadra. Rapporto ormai irrimediabilmente incrinato e che vide i due rappresentanti ferraristi guardarsi ormai come i peggiori rivali.

In Belgio Pironi ha la provvisoria pole-position quando Villeneuve esce come una furia dai box per andare a dimostrare in pista chi sia davvero il più veloce. Ma sulla sua traiettoria incappa la March di Mass, che sta rientrando ai box a una velocità infinitamente più lenta di quella della Ferrari, avendo già consumato il proprio treno di gomme. L’impatto è inevitabile e violento, con la Ferrari che decolla letteralmente per poi ricadere rovinosamente e distruggersi, scaraventando lo sfortunato canadese fuori dall’abitacolo con il seggiolino attaccato dalle cinture di sicurezza. Gilles sbatte la nuca contro un paletto delle reti di recinzione ed è quel colpo a strappargli la vita. Milioni di telespettatori vivono in diretta l’avvenimento e poco dopo apprendono che “lo spettacolo è finito” Gilles è morto.

Pareva impossibile a tutti, come sempre accade di fronte alla scomparsa di un grande, che appartenga o no al mondo dello sport. Impossibile anche perché ai funambolismi Villeneuve aveva abituato gli appassionati, a cominciare da quello cruento con cui aveva esordito con la Ferrari in Giappone, passando per le ruotate con Arnoux a Digione, il giro su tre ruote a Zandvoort, la rabbia con cui proseguì a Montreal con l’alettone piegato a coprirgli la visuale.

Imprese che avevano conquistato i tifosi, che gli riconoscevano un cuore generoso come quello dei grandissimi, Nuvolari compreso, come ebbe a dire lo stesso Enzo Ferrari in persona che, notoriamente schivo ad ogni esternazione di sentimenti, all’indomani della tragedia si lasciò sfuggire “Io gli volevo bene”.


Fonte: “Storia della Formula 1” di Pino Casamassina (Edizioni Calderini – Bologna, 1996).